Avvocato Domenico Esposito
 

 

IL RICORRENTE DEVE INDICARE GLI ATTI VIZIATI E DIMOSTRARE LA LORO DECISIVITA' SULL'INSIEME DEL QUADRO INDIZIARIO


Nel ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, a pena di inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l'incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (per l'effetto, nella specie, è stato dichiarato inammissibile, per genericità, il motivo di ricorso con il quale si contestava, senza avere soddisfatto l'indicato onere allegativo, la decisione del giudice di secondo grado che, a sua volta, aveva ritenuto la genericità dei motivi di appello relativi all'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per mancanza della specifica indicazione dei decreti di riferimento, di cui genericamente si prospettava il difetto di motivazione).

Cassazione penale, sez. VI 29/09/2009 n. 41662 (data dep. 29 ottobre 2009)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Di Virgilio Adolfo - Presidente -
Dott. Mannino Saverio Feli - Consigliere -
Dott. Cortese Arturo - Consigliere -
Dott. Ippolito Frances - rel. Consigliere -
Dott. Conti Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
) A.P., n. a (OMISSIS); 2) B.A., n. a (OMISSIS); 3) C.F., n. a (OMISSIS); 4) CO.Da., n. (OMISSIS); 5) CO.Ro., n. (OMISSIS); 6) D.P., n. a (OMISSIS); 7) D.A., n. a (OMISSIS); 8) DI.GA.An., n. (OMISSIS); 9) M.D., n. a (OMISSIS); 10) P.M., n. a (OMISSIS); 11) S.V., n. a (OMISSIS); 12) SE.Gi., n. a (OMISSIS); 13) Z.M., a (OMISSIS); 14) ZA.Ni., n. a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli, emessa in data 30.3.2007;

- letti i ricorsi e il provvedimento impugnato; - udita in pubblica udienza la relazione del Cons. Dr. F. Ippolito; - udita la requisitoria del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dr. Galasso A., che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; - udito l'avv. ......................., difensore di P., che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

OSSERVA IN FATTO E DIRITTO

1. Questo procedimento ha ad oggetto i ricorsi degli imputati elencati in epigrafe avverso la decisione pronunciata dalla Corte d'appello di Napoli il 30.3.2007, nella parte in cui ha confermato la sentenza di condanna emessa, nei loro confronti, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 17.12.2004, dinanzi al quale furono tratti a giudizio ordinario 41 dei 72 imputati (gli altri avendo optato per il rito abbreviato) ai quali era stato contestato il delitto associativo previsto dall'art. 416 bis c.p. e/o vari reati- fine, tra cui estorsioni e delitti collegati, commessi da associati al cosiddetto "clan dei casalesi" negli anni novanta del secolo scorso (prevalentemente tra il (OMISSIS)).

2. L'esistenza del c.d. "clan dei casalesi", secondo i giudici di merito, emerge dalle sentenze già passate in cosa giudicata, acquisite nel presente procedimento, e dalle intercettazioni di comunicazioni, a cominciare da quella del colloquio, avvenuto nell'(OMISSIS) nel carcere di (OMISSIS), tra F. D., sua moglie e suo sorella F.N., coniugata con Za.Al..

Le conversazioni intercettate e le dichiarazioni dei collaboratori hanno fatto emergere anche una frattura verificatesi nel sodalizio criminoso dopo l'arresto di B.F., che trasferì il comando a suo figlio A., eredità contrastata da Ca.
S., che contestava l'affidamento del comando "per successione". La tensione produsse una divisione in due sottogruppi (l'uno facente capo a B.A. e al cugino B. D., l'altro al Ca. e a A.P.), i quali, per un verso, intrapresero azioni ritorsive verso il sottogruppo contrapposto e, per altro verso, diversificarono le loro attività criminose, prevalentemente estorsive, ai danni d'imprenditori e commercianti nel territorio in provincia di (OMISSIS).

Le fonti di prova (in taluni casi congiuntamente, in altri alternativamente) su cui sono state fondate le affermazioni di colpevolezza sono costituite da intercettazioni telefoniche, inizialmente attivate per la ricerca di latitanti, e da chiamate in reità o in correità da parte di soggetti già aderenti all'associazione criminosa.

Come si è accennato, i giudici di merito hanno tratto elementi di convincimento anche da sentenze passate in giudicato, tra cui quelle emesse nei confronti degli imputati dello stesso originario procedimento, poi definite con rito abbreviato, acquisti ex art. 238 bis c.p.p..

3. La gran parte dei ricorrenti formula censure concernenti l'inosservanza o l'erronea applicazione di legge penale (con riferimento all'art. 416 bis c.p., ed al concorso esterno in tale reato), di legge processuale, con particolare riferimento alle regole poste dall'art. 192 c.p.p., (valutazione delle chiamate in correità e dei relativi necessari riscontri) e dall'art. 238 bis c.p.p., ed a quelle inerenti alla motivazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche e della sentenza impugnata.

L'esame dei singoli ricorsi sarà svolto secondo l'ordine alfabetico del cognome dei quattordici ricorrenti.

4. A.P. è stato condannato alla pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione e Euro 1.400,00 di multa per la tentata estorsione pluriaggravata ai danni dei fratelli Po.El. e Po. L., titolari dell'omonimo supermercato di (OMISSIS) (capo 19 delle imputazioni), sulla base delle dichiarazioni delle parti offese e della chiamata in correità di C.F..

Per lo stesso delitto erano già stati condannati, con sentenze passate in giudicato Da., Ro. e Co.An., arrestati in flagranza di reato in occasione di una visita "estorsiva" ai fratelli Po., presso cui si erano recati a bordo di un'autovettura Volkswagen Golf e durante la quale avevano menzionato (OMISSIS) (soprannome di S.F., esponente di rilievo del clan dei casalesi).

Evidenziano i giudizi di merito che, in precedenza, i Po. avevano ricevuto altre due "visite" da parte di altri giovani, che avevano richiesto "tangenti", facendo riferimento al "clan dei casalesi" e, specificamente, a " P. (OMISSIS)", soprannome dell' A..

Le dichiarazioni autoaccusatorie e accusatorie di C. sono state ritenute credibili e confortate da tre riscontri: l'identità tra la marca dell'autovettura (Volkswagen Golf) indicata da C. quale mezzo di trasporto per recarsi dalla vittima e quella effettivamente utilizzata dai Corvino; il numero telefonico del cellulare del padre del C., fornito dagli estorsori ai fratelli Po. per essere ricontattati per il pagamento richiesto; il riferimento a " P. (OMISSIS)", nomignolo che identificava l' A., come da dichiarazioni rese da funzionari della Polizia di Stato.

4.1. Il ricorrente deduce nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. e) per motivazione illogica, contraddittoria e mancante, nonchè violazione degli artt. 192, 530 e 533 c.p.p..

Il ricorso - in violazione di quanto richiesto a pena d'inammissibilità dall'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 191 c.p.p., comma 1 - riproduce in larga parte i motivi d'appello, senza specifiche repliche alla motivazione, giuridicamente corretta e indenne da vizi logici - salvo quanto di seguito si preciserà - con cui la Corte territoriale li aveva rigettati.

Senza pregio è la generica censura (nuova rispetto all'appello) rivolta al passaggio motivazionale con cui i giudici d'appello plausibilmente osservano che, nel contesto sociale in cui operavano gli imputati, non era neppure ipotizzabile che qualcuno, nel compiere o tentare un'estorsione, potesse spendere "impunemente" il nome di A. o dei "casalesi", senza pagarne subire adeguate "punizioni" da parte del sodalizio associativo.

4.2. Fondatamente, invece, il ricorrente si duole della motivazione con cui giudici hanno rigettato il motivo di gravame relativo all'aggravante di cui art. 61 c.p., n. 6 ("l'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente all'esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato").

L'affermazione secondo cui "non è assolutamente ipotizzabile che (l' A.) non fosse a conoscenza di tale provvedimento", ossia dell'ordinanza cautelare carceraria precedentemente emessa nei suoi confronti nell'ambito del processo c.d. "(OMISSIS)", è del tutto apodittica.

Com'è noto, la circostanza prevista dall'art. 61 c.p., n. 6 ha carattere soggettivo e si fonda sulla maggiore pericolosità dell'agente che rifiuta di sottomettersi al potere dello Stato, volontariamente sottraendosi a misure cautelari restrittive della libertà personale o all'esecuzione pena.

Per la sussistenza di tale aggravante è perciò necessario che sia provata, sulla base di elementi obiettivi e certi, la sicura consapevolezza dell'autore del reato di essere già ricercato.

Il giudice d'appello non indica alcun dato fattuale e non da conto di elementi, obiettivi e certi, in base ai quali i giudici sono pervenuti al convincimento di consapevolezza dell' A. di essere destinatario di una misura cautelare carceraria.

4.3. La sentenza va, perciò, annullata limitatamente a tale punto, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.

5. B.A. è stato condannato alla pena di 4 anni di reclusione per il delitto associativo.

Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l'imputato fu designato alla successione dal padre fr., al momento del suo arresto. Ciò provocò tensione, contrasto e divisione tra il gruppo rimasto fedele ai Bidognetti (guidato da B.A. e dal cugino B.D.) e quello, capeggiato da Ca. (a cui era legato l' A.), che contestava la successione dinastica, perchè "il comando non si lascia in eredità; bisogna conquistarselo".

Hanno ritenuto i giudici che le dichiarazioni dei dichiaranti ( F., D. e De.Si., Fe. e C.) s'incrociano e si riscontrano reciprocamente e risultano inoltre riscontrate - da intercettazioni telefoniche.

Secondo la sintesi formulata nella sentenza impugnata, "le plurime dichiarazioni evidenziano che l'imputato, a seguito dell'arresto del padre, ha assunto direttamente e in prima persona quel ruolo e quella posizione occupata dal genitore nel sodalizio criminoso; che tale assunzione di potere decisionale non è stato un fatto solo formale, perchè addirittura ha scatenato una guerra con una fazione del clan", segnata da "inseguimenti e controlli reciproci tra personaggi dei due opposti schieramenti".

5.1. Il ricorrente, sotto la rubrica della violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione all'art. 416 bis c.p. e della motivazione insufficiente e contraddittoria, lamenta che la sentenza omette di specificare gli elementi sulla cui base può ritenersi certa la partecipazione del ricorrente al sodalizio criminoso "clan dei casalesi" e censura di genericità le dichiarazioni dei collaboranti su fatti notori, denunciandone l'illazione trattane, ossia che B.A. avesse ereditato il potere del padre detenuto in carcere".

La censura, già avanzata in sede di appello, è stata esaurientemente confutata nella sentenza impugnata, che evidenzia come, ben lungi dal riferire illazioni o deduzioni logiche, i collaboratori hanno fatto specifico riferimento alle tensioni, ai contrasti e alle fratture determinate dalla decisione di B. F. di investire della successione il figlio, decisione contestata dal Ca. e causa di indicati specifici episodi di appostamento e inseguimenti tra le fazioni antagoniste.

5.2. Egualmente ripetitiva del motivo d'appello - e perciò da ritenersi generica - è la riproposizione della critica relativa all'attendibilità del collaboratore De.Si.Da., ritenuto condizionato dal risentimento contro la famiglia ......................, a cui ha replicato la sentenza impugnata, con motivazione adeguata e indenne da vizi logici.

Nè la minima contraddizione si rinviene tra l'affermazione di colpevolezza per il delitto associativo e l'assoluzione dall'imputato dalla "gambizzazione" di Ma.Gi. (capi 27 e 28), attesa l'autonomia dei due reati e le molteplici dichiarazioni accusatorie prese in considerazioni e ritenute motivatamente attendibili dalla Corte d'appello in ordine al delitto associativo, mentre le dichiarazioni del collaboratore C. sul ferimento del Ma., pur ritenute attendibili, non erano avvalorate da riscontro individualizzante.

5.3. Il ricorso è pertanto inammissibile.

6. C.F. (n. a (OMISSIS)) è cugino dell'omonimo collaboratore C.F. ed era stato condannato in primo grado (in concorso con B.A. e Se.Gi.) alla pena di 1 anno e 9 mesi di reclusione e Euro 500,00 di multa per i capi 27 (lesioni personali in danno del perito assicurativo Ma.Gi.) e 28 (detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola cal. 9).

La Corte d'appello, che ha mandato assolti da tali reati B. e Se. per mancanza di riscontri individualizzanti alla chiamata in correità del collaboratore C., ha dichiarato, nei confronti dell'appellante ora ricorrente, la prescrizione del reato in materia di armi (capo 27), confermando la colpevolezza per il delitto di lesioni personali, con riduzione di pena a un anno e nove mesi di reclusione e Euro 450,00 di multa.

Del ferimento del Ma. si era dichiarato personalmente responsabile il collaboratore C., che dichiarò di avere materialmente condotto a bordo della motocicletta (veicolo, di cui indicò la marca, di proprietà del cugino omonimo, oggi ricorrente) Se.Gi., che sparò con una pistola cal. 9 alle gambe di Ma.Gi.; precisò il collaboratore che in quell'occasione era con lui e con il Se. anche lo stesso cugino, a bordo di un'autovettura.

I giudici hanno ravvisato costituire un elemento di riscontro la falsa denuncia di furto della motocicletta, presentata dall'imputato ricorrente a qualche ora dal ferimento del Ma., quale mezzo per preordinare una giustificazione in caso di accusa a suo carico di partecipazione al ferimento.

6.1. Il ricorrente deduce violazione art. 601 c.p.p., comma 1, lett. fa ed e, in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 192 c.p.p., comma 2, censurando l'utilizzazione, come riscontro alla partecipazione del ricorrente al fatto contestato, la predetta denuncia di furto.

6.2. Il motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte d'appello fatto corretto uso della regola di giudizio scaturente dall'art. 192 c.p.p., comma 2, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui i riscontri alla chiamata di correità possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo sia logico.

6.3. Va, pertanto, adottata declaratoria d'inammissibilità.

7. CO.Da. e CO.Ro., già condannati con sentenza irrevocabile come esecutori materiali dell'estorsione in danno del supermercato dei fratelli Po. di (OMISSIS) (nel presente procedimento addebitata a A.P. in qualità di mandante; v. par. 4), sono stati dichiarati colpevoli anche del delitto associativo e condannati alla pena di 5 anni di reclusione, sulla base della dichiarata destinazione della somma estorta ("aiuto ai carcerati" e "agli amici di casale" (riferita dalla parte offesa), dell'articolata e specifica chiamata in correità del collaboratore C. (che si autoaccusò di essere stato il tramite tra il mandato ricevuto dall' A. e gli esecutori materiali Co., affiliati e "stipendiati" del clan criminale), del riscontro costituito dalla precedente condanna passata in cosa giudicata.

7.1. Il ricorso presentato dal difensore di Co.Da. e Co.Ro. è inammissibile.

7.2. Con il primo motivo ("nullità della sentenza per motivazione illogica ex art. 606 c.p.p., lett. e) e violazione degli artt. 192, 530 e 533 c.p.") vengono riproposte le stesse censure, peraltro relative a valutazioni di fatto, dedotte in appello e rigettate dalla Corte territoriale, senza che la nuova impugnazione avanzi critiche nuove o diverse alle motivate repliche della sentenza impugnata.

7.3. Manifestamente infondato è il secondo motivo, che deduce nullità della sentenza per violazione art. 59 c.p., comma 2, sulla conoscenza della disponibilità delle armi.

I giudici di merito (con specifica menzione dell'episodio dell'uccisione di C.N.) hanno correttamente ritenuto che il possesso di armi da parte del sodalizio fosse un fatto notorio non ignorabile da alcun aderente all'associazione. E ciò in linea con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza della disponibilità di armi da parte del singolo associato è desumibile da deduzioni logiche tratte dagli atti e può derivare dalla considerazione in concreto dell'attività svolta rispetto ad analoghe organizzazioni operanti sul medesimo territorio tanto da poter attribuire a colpa l'eventuale ignoranza da parte del singolo associato della disponibilità di armi da parte dell'organizzazione (v., in tema di organizzazione camorristica, Cass. n. 10930/1996, Licciardi; e con riferimento ad organizzazioni mafiose, Cass. n. 13008/1998, Bruno; n. 5466 18/04/1995, Farinella).

7.4. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo, che censura il trattamento sanzionatorio e il diniego di circostanze attenuanti generiche per "erronea applicazione dell'art. 62 bis c.p. e art. 133 c.p., e mancanza di motivazione", mentre il riferimento dei giudici alla gravità dei fatti commessi e alla negativa personalità degli imputati è idoneo a dare conto delle ragioni che hanno determinato la scelta operata.

8. D.P. è stato condannato alla pena di anni 6 di reclusione e Euro 750,00 di multa per concorso in estorsione aggravata in danno dell'imprenditore C.C. (capo S delle imputazioni).

Gli elementi di colpevolezza sono stati individuati nelle dichiarazioni della parte offesa e in quelle del padre dell'imputato, il collaboratore D.S., il quale ha confessato il reato, tentando, secondo i giudici di merito, di sminuire il ruolo svolto dal figlio, esattore delle varie dazioni di denaro estorto al C..

8.1. Ricorre il difensore del D., che deduce nullità della sentenza per violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) e art. 192 c.p.p., e vizio di motivazione, con riferimento alla consapevolezza dell'imputato sul fatto che il denaro riscosso dal C. fosse frutto dell'estorsione commessa dal padre. Si rimprovera, in particolare, ai giudici la mancata valutazione del motivo d'appello concernente il tema della possibile connivenza non punibile, per l'incolpevole coinvolgimento dell'imputato.

Il motivo è manifestamente infondato, in quanto, nonostante che la prospettazione problematica di un motivo ("possibile connivenza") violi il canone della specificità di cui all'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), nella sentenza impugnata si prende in esame la censura, escludendo espressamente tale ipotesi in considerazione della concreta condotta dell'imputato, che si recava periodicamente dall'imprenditore per ricevere "le mazzette" estorte.

Osserva condivisibilmente il giudice d'appello che nella sentenza si evidenzia pure, a proposito della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, che il "forzoso acquisto di merce imposto al C. dal collaboratore D.S., pur non essendo oggetto di specifica contestazione, è rilevante perchè, a prescindere dal valore degli oggetti, da esso si desume in modo evidente che l'imputato era consapevole della natura dei rapporti tra C. e padre, capace di coartare la volontà del C. alla stipula di un contatto non voluto".

8.2. Contrastante con le esigenze di specificità, previste a pena d'inammissibilità di cui all'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, è il secondo motivo (nullità della sentenza per violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) e L. n. 203 del 1991, art. 7), a fronte di una motivazione secondo cui l'imputato "s'inserisce nell'estorsione con una condotta consapevole diretta a facilitare i rapporti e in contatti tra la vittima e il padre, capo- zona del clan dei casalesi", motivazione censurata dal ricorrente del tutto genericamente.

8.3. Inammissibile è, infine, anche l'ultimo motivo che deduce vizio di motivazione sulla mancata riduzione della pena nel minimo edittale, non potendosi l'imputato lamentare della mancanza di motivazione su questione non sottoposta alla Corte territoriale con i motivi d'appello.

8.4. L'impugnazione è, dunque, inammissibile.

9. D.A. è stato condannato alla pena di 6 mesi di reclusione e Euro 200,00 di multa per il capo 24 (concorso in danneggiamento aggravato dei macchinari del cantiere della ditta (OMISSIS), commesso nel (OMISSIS)).

E' stata ritenuta la continuazione tra il reato ascritto e il delitto di tentata estorsione in danno della (OMISSIS), avvenuta nell'(OMISSIS), oggetto di precedente sentenza 30.10.2000 della Corte d'appello di Napoli, ormai irrevocabile (il D., con il nome di Si., aveva avvicinato due volte R.A., titolare della CIR, rivolgendogli richieste estorsive).

Risulta dalla sentenza che il danneggiamento (di cui al capo 24 dell'imputazione) fu narrato dal collaboratore C.F., il quale dichiarò di avere guidato, per incarico dell' A., una sorta di raid in danno dell'impresa CIR, che stava effettuando lavori per la linea ferroviaria dell'alta velocità. C. indicò il D. (riconosciuto in fotografia) come uno delle persone con cui s'incontrò a (OMISSIS), prima dell'azione contro la CIR, realizzata con l'utilizzazione due autovetture.

La colpevolezza è stata fondata dai giudici di merito sulle dichiarazioni della parte offesa R. e sulla chiamata in correità del C., ritenuta riscontrata dalla precedente sentenza di condanna (irrevocabile) per la tentata estorsione.

9.1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.

9.2. Il difensore ricorrente deduce violazione art. 606 c.p.p., lett. e) e art. 192 c.p.p., in relazione all'art. 635 c.p., denunciando motivazione apparente della sentenza impugnata, per "acritica riproposizione delle argomentazioni del primo giudice senza alcuna valutazione delle specifiche doglianze difensive contenute nell'atto d'appello".

Rileva il Collegio che nel ricorso, per una parte, si reiterano pedissequamente i motivi d'appello, con variazioni lessicali irrilevanti (l'espressione "i giudici di primo grado" dell'atto di appello è sostituita da "giudici di merito"); per altra parte, del tutto infondatamente si lamenta che la condanna è stata fondata su presunzioni e deduzioni, essendo invece logicamente ineccepibile l'affermazione di colpevolezza del D., fondata su un riscontro logico costituito dall'evidente constatazione che il danneggiamento fu conseguenza logica e sviluppo prossimo e concreto del doppio tentativo di estorsione operato personalmente, senza successo, dal D..

Per quanto riguarda il mancato riferimento dei giudici d'appello all'imprecisione denunciata dall'appellante con riferimento all'individuazione fotografica da parte del collaboratore C., osserva il Collegio che si tratta d'irrilevante dettaglio inserito dall'appellante nella più generale (e generica) censura critica alla chiamata in correità, motivatamente rigettata dalla Corte d'appello, che ha evidenziato come la dichiarazione accusatoria del C. fosse una sostanziale e puntuale conferma delle accuse derivanti dalle dichiarazioni della parte offesa, titolare dell'impresa prima minacciata e poi danneggiata.

9.3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo d'appello con cui si censura la mancanza di motivazione sulla ritenuta aggravante (L. n. 203 del 1991, art. 7) e il trattamento sanzionatorio.

La doglianza dell'appellante sulla contestata aggravante è stata correttamente rigettata dalla Corte d'appello, "trattandosi di fatto collegato a un'estorsione commessa con tipiche modalità mafiose e al chiaro scopo di favorire i clan del casalesi".

In merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche e del sanzionatorio, la Corte napoletana non aveva alcun obbligo di pronuncia, considerata l'assoluta genericità del relativo (quasi inesistente) motivo d'appello.

10. DI.GA.An. è stato condannato alla pena di 8 anni e 6 mesi di reclusione e Euro 1.800 di multa per capo L (concorso in estorsione aggravata in danno del Calzaturificio della famiglia Lecce).

La colpevolezza dell'imputato - fondata sulla duplice chiamata in correità di D.S. e De.Si.Da. - è così sintetizzata dai giudici di merito: "emerge che nella consumazione dell'estorsione de quo un ruolo importante è rivestito dal Di.Ga., che ha svolto per entrambi i collaboratori il compito di prelevare i titolari dell'azienda e portarli alla presenza dei referenti del clan per concordare la tangente".

10.1. Il ricorso del Di.Ga. è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.

10.2. Sotto la rubrica di "violazione art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, artt. 81 e 110 c.p., art. 238 bis c.p.p., - in relazione al reato di cui al capo L. - artt. 110, 112 e 629 c.p., D.L. n. 152 del 1991, art. 7" il ricorrente censura la sentenza:
a) in ordine all'attendibilità estrinseca e intrinseca dei collaboratori De.Si. e D.;
b) in ordine all'erronea applicazione della c.d. frazionabilità e/o scindibilità delle dichiarazioni;
c) per avere attribuito acriticamente valenza probatoria ad una sentenza irrevocabile di condanna, in violazione dell'art. 238 bis c.p.p..

10.3. Per quanto riguarda l'attendibilità dei predetti collaboratori, nessun'argomentazione è svolta dal ricorrente a sostegno del motivo trascritto sub a), che, pertanto, va considerato come assolutamente generico.

10.4. E' manifestamente infondata la denunciata contraddittorietà della sentenza per avere i giudici utilizzato in danno del Di. G. il principio di frazionabilità delle chiamate, mentre altri imputati ( m., Fu., p. e ma.), pur chiamati in correità sono stati assolti: i giudici d'appello hanno a chiare lettere evidenziato che, ferma l'attendibilità dei collaboratori, tali imputati sono stati assolti per mancanza di riscontri alle singole chiamate in correità, mentre per An. D.G. sussiste la duplice convergente chiamata del D. S. e del D..

10.5. In ordine all'ultimo rilievo, osserva il Collegio che dal testo della decisione impugnata risulta evidente che la sentenza irrevocabile di condanna, acquisita ai sensi dell'art. 238 bis c.p.p., è stata valutata, senza alcun automatismo probatorio, insieme agli altri elementi di prova rappresentativa e logica, in conformità alla giurisprudenza di legittimità di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. n. 42799/2008, Campesan).

11. M.D. è stato condannato alla pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione per il delitto associativo sulla base del contenuto di numerose intercettazioni telefoniche, analiticamente esaminate dai giudici di merito e ritenute espressive dello scontro tra opposte fazioni, nel cui contesto fu ucciso C.N., episodio che determinò l'allontanamento dell'imputato dalla sua abituale dimora e suoi messaggi di allerta e di preoccupate avvertenze rivolti alla sua compagna, a poche ore dall'omicidio.

Secondo la sintesi operata dai giudici d'appello "la conoscenza di fatti proprio del sodalizio, il coinvolgimento nell'attività di pedinamento di personaggi collegati ad un gruppo rivale, il timore di subire ritorsioni o vendette, il costante utilizzo di gergo criptico in cui si fa riferimento a 'cosè da occultare e la frequentazione di altri affiliati sono tutti elementi che dimostrano senza dubbio la partecipazione al sodalizio criminoso".

11.1. I motivi d'impugnazione proposti dal ricorrente sono inammissibili.

11.2. Sotto la rubrica "nullità della sentenza per violazione dell'art. 268 c.p.p., per motivazione illogica e per mancanza di motivazione su alcuni punti. Violazione degli artt. 530 e 533 c.p.p.", si deduce innanzitutto l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche.

Tale doglianza non può essere presa in considerazione, ex art. 606 c.p.p., comma 3, nella parte (vizio di motivazione con riferimento all'insufficienza e inidoneità degli impianti della Procura della Repubblica) non dedotta con i motivi di appello, i quali avevano (alquanto genericamente) prospettato soltanto la "inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche (...) per le quali non è stato risolto il problema dell'utilizzabilità per mancanza del decreto motivato sull'eccezionale urgenza che consente la deroga all'ascolto presso le Forze di Polizia anzichè presso la Procura".

Nella parte in cui costituì oggetto d'appello e viene riproposta nei ricorso, la doglianza è manifestamente infondata.

La sentenza impugnata ha correttamente replicato. richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità e rilevando che le intercettazioni disposte per la cattura di un latitante presentano sempre ragioni di eccezionale urgenza e non necessitano, perciò, di un decreto particolarmente motivato del P.M. (cfr. Cass. n. 15322/2008, Abbadessa; n. 45479/2004, Galia), tanto più nel caso di specie, in relazione alla sussistenza dei gravi delitti per cui erano ricercati gl'imputati latitanti.

Va poi ricordato che le risultanze delle intercettazioni disposte, ai sensi dell'art. 295 c.p.p., comma 3, per agevolare le ricerche di un latitante possono essere utilizzate anche a fini probatori, anche in procedimenti diversi (v. Cass. 24178/2007, Cavaliere; 15328/2005, D'Amico), con i limiti posti dall'art. 270 c.p.p., comma 1; a maggior ragione sono utilizzabili nello stesso procedimento, senza neppure che sussistano tali presupposti (Cass. 22705/2009, Internicola).

11.3. Inammissibili sono anche le censure sulle interpretazioni date dai giudici di merito alle conversazioni telefoniche intercettate, da cui, secondo il ricorrente, "non si può ricavare la prova di appartenenza all'associazione mafiosa".

In ricorso si indica il contenuto di talune telefonate, deducendone l'illogicità dell'interpretazione data dai giudici, dei quali sono censurate come illogiche e immotivate le conclusioni sopra sintetizzate.

In proposito va richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, anche a sezioni unite, secondo cui le valutazioni del giudice del merito relative a conversazioni intercettate sono censurabili soltanto quando si fondino su criteri interpretativi inaccettabili ovvero applichino scorrettamente tali criteri.

E ciò perchè l'individuazione del contesto comunicativo che contribuisce a definire il significato di un'affermazione o di un qualsiasi messaggio comporta una selezione dei fatti e delle situazioni rilevanti, che è propria del giudizio di merito.

Quando l'interpretazione del significato di un testo o di un qualsiasi fatto comunicativo è sorretta da un'adeguata motivazione, essa è incensurabile nel giudizio di legittimità (Cass. sez. un. n. 24486/2006, Lepido).

Nel caso in esame, non è censurabile l'interpretazione offerta dalla sentenza impugnata delle conversazioni intercettate, perchè, nel procedere al controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (cfr. Cass. "Lepido" cit).

11.4. Il motivo d'impugnazione, che deduce testualmente "nullità della sentenza per violazione ed erronea applicazione dell'art. 59 c.p.p., comma 2, con riferimento all'art. 416 bis c.p., comma 4; violazione dell'art. 416 bis c.p., comma 5, per violazione illogica sul punto" è manifestamente infondato per le ragioni già espresse a proposito del motivo analogo formulato nel ricorso dei Corvino (v. par. 7.3), tanto più che, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, le conversazioni telefoniche relative al M. fanno proprio riferimento all'uccisione di C.N..

11.5. Inammissibile è anche l'ultimo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, con richiesta di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte:
- il giudizio di comparazione fra circostanze attenuanti ed aggravanti, ex art. 69 c.p., è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere bensì motivato nei limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo;
- il medesimo giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato già quando il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale a lui demandato, scelga la soluzione dell'equivalenza, anzichè della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto;
- anche il giudice di appello - pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante - non è tenuto ad un'analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e di valore decisivo, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta confutazione (Cass. Sez. U, n. 3286/2009, Chiodi).

Nel caso in esame, la Corte napoletana, nel corretto esercizio del potere discrezionale, ha confermato il giudizio di equivalenza espresso dal primo giudice, attribuendo rilevanza decisiva alla gravità del fatto commesso.
12. P.M., agente già in servizio al reparto mobile della Polizia di Stato di Napoli, rinviato a giudizio per rispondere del delitto di cui all'art. 416 bis c.p. (partecipazione all'associazione di tipo mafioso), è stato condannato in primo grado, con conferma in appello, a 4 anni di reclusione per concorso esterno in tale associazione (artt. 110 e 416 bis c.p.).

Gli elementi di colpevolezza sono stati dai giudici di merito individuati negli elementi emersi da quattro conversazioni telefoniche intercettate sulle utenze in uso a De.Ve. A., già condannato con sentenza irrevocabile per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. Dalle conversazioni intercettate il (OMISSIS), risultava che il P. - richiesto dal De.Ve. (preoccupato di essere personalmente coinvolto) di avere notizie su una perquisizione domiciliare effettuata in casa di Am.Sa. (pure già condannato per il reato di cui all'art. 416 bis c.p.) - aveva informato il suo interlocutore che la perquisizione era stata motivata da sospetti di detenzione di armi da parte dell' Am., mentre nulla era emerso nei confronti dell'interlocutore De.Ve..

Da altre conversazioni, intercettate il (OMISSIS), emergeva che il P. aveva informato il De.Ve. che era in corso una perquisizione di un bar da parte dei Carabinieri, notizia che interessò molto e allarmò il De.Ve., il quale incaricò il poliziotto di informarsi dell'origine e dello scopo della perquisizione, temendone un qualche personale coinvolgimento.

12.1 Ricorrono con separati ricorsi i due difensori dell'imputato, deducendo, tra l'altro:
- nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per violazione degli artt. 110 e 416 bis c.p. e relativo vizio di motivazione, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, con richiami alla giurisprudenza di legittimità in tema di concorso esterno in associazione mafiosa;
- mancanza di motivazione in relazione alle censure avanzate con il motivo d'appello, volto a qualificare il fatto addebitato come favoreggiamento personale per avere aiutato De.Ve.An..

12.2. Il ricorso è fondato e va accolto.

12.3. Con i motivi d'appello era stata richiesta l'assoluzione dal reato di cui all'art. 110 c.p. e art. 416 bis c.p. e, in subordine, la derubricazione nel delitto cui all'art. 378 c.p., mancando un contributo causalmente efficace al rafforzamento dell'associazione e in assenza del dolo rilevante per il ritenuto concorso esterno, con riferimento alla condotta posta in essere dall'imputato, volta ad aiutare una singola persona, fornendo notizie finalizzate ad informare il De.Ve. circa il suo eventuale coinvolgimento personale nelle indagini di polizia giudiziaria.

12.4. Come è noto il concorso esterno nel reato associativo ha costituito oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale, sfociato nella più recente pronuncia delle Sezioni unite (sent. n. 33748/2005 del 12.7.2005), che ha particolarmente sottolineato la necessità di provare un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo fornito dal soggetto esterno al sodalizio e la sua effettiva rilevanza causale, tale da configurarsi come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell'associazione, nonchè la direzione di tale contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima.
Le Sezioni unite, rilevando come l'efficienza causale in merito alla concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo costituisca elemento essenziale e tipizzante della condotta concorsuale, di natura materiale o morale, hanno specificato che non è sufficiente una valutazione "ex ante" del contributo, risolta in termini di mera probabilità di lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un apprezzamento "ex post", in esito al quale sia dimostrata, alla stregua dei comuni canoni di "certezza processuale", l'elevata credibilità razionale dell'ipotesi formulata in ordine alla reale efficacia condizionante della condotta atipica del concorrente.
Correlata a tale dimostrazione è la prova dell'elemento soggettivo del concorso esterno, occorrendo che "il dolo investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell'agente alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione, agendo l'interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio, ciò che esclude la sufficienza del dolo eventuale, inteso come mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio di verificazione dell'evento, ritenuto solamente probabile o possibile insieme ad altri risultati intenzionalmente perseguiti (Cass. sez. un. cit.).

12.5. Non corrisponde a tali principi la sentenza impugnata, che sbrigativamente ha rigettato gli indicati motivi di appello, considerando "del tutto irragionevole pensare che P. (...) non sapesse dell'inserimento di De.Ve. nel sodalizio e del suo ruolo tutt'altro che marginale", senza l'indicazione degli specifici elementi fattuali su cui è fondata tale conclusione, tanto più la sottolineata circostanza che il De.Ve. e l' Am. risultano condannati per il partecipazione ad associazione camorristica non è accompagnata da riferimenti temporali, per cui non è possibile comprendere se il P. fosse a conoscenza di tali condanne o per lo meno del coinvolgimento di costoro nelle vicende del clan dei casalesi al momento in cui ha commesso i fatti contestati.

Viziata, in quanto apodittica e difforme dal principio di diritto sopra indicato sull'elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie in esame, è l'affermazione della consapevolezza dell'imputato di aiutare il sodalizio criminoso.

Di fronte a specifici motivi d'appello, non è sufficiente rilevare che "dare notizie sui controlli e sulle indagini di p.g. in favore di più affiliati significa aiutare oggettivamente il sodalizio soprattutto quando si aiuta una persona, come V., che ha nell'organizzazione un ruolo di rilievo in grado quindi di influenzare in via diretta l'esistenza dell'organizzazione stessa". Per un verso, è necessario dimostrare l'effettiva conoscenza della condizione di "affiliati" delle persone aiutate; per altro verso, non basta che ciò costituisca un oggettivo aiuto al sodalizio, richiedendosi, come sopra si è detto, il dolo diretto di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio.

12.6. La sentenza va, pertanto annullata, restando assorbiti gli altri motivi, con rinvio alla Corte d'appello di Napoli per nuovo giudizio.

13. S.V. è stato condannato alla pena di 5 anni di reclusione per il reati di cui all'art. 416 bis c.p., sulla base delle numerose conversazioni telefoniche intercettate, da cui i giudici hanno tratto il convincimento che egli fosse l'esperto e il custode delle armi del c.d. "clan" e il "factotum dei latitanti", di cui favoriva gli incontri. In particolare, è stata valorizzata un'intercettazione sull'utenza di Pa.Ni., da cui - secondo i giudici del merito - emerge che lo S. veniva sollecitato a recare aiuto a persona (identificata nel latitante Fe. S.) che aveva necessità di nascondersi per sfuggire a rischio di arresto, poi effettivamente eseguito dai carabinieri senza che lo S. facesse in tempo ad intervenire.

Traendo conferma del ruolo dello S. da altre telefonate, in particolare da quelle in cui si parlava di spartizioni di danaro, i giudici d'appello hanno ritenuto non potersi "dubitare del pieno e consapevole inserimento dell'imputato nella organizzazione camorristica: favorisce gli incontri tra i latitanti, provvede allo spostamento del latitante Fe. da un nascondiglio all'altro (tentativo fallito per l'arresto del predetto), sa dove vengono nascoste le armi e mostra di essere in grado di ripararle, frequenta altri affiliati dell'associazione".

13.1. Il ricorso - contenuto in atto di impugnazione comune ai coimputati Di.Ga.An., S.A. e Z. N. - va dichiarato inammissibile.

13.2. Con il primo motivo, comune ad S.A. (il cui procedimento è stato stralciato e separatamente definito con sentenza declaratoria d'inammissibilità n. 27410/09 del 4.6.2009 della sez. 7A di questa Corte), il ricorrente deduce violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, c ed e, artt. 266 e 267 c.p.p., art. 168 c.p.p., comma 3, artt. 271 e 295 c.p.p.; artt. 335, 405, 406 e 407 c.p.p. e lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto la genericità dei motivi d'appello relativi all'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, per mancanza specifica indicazione dei decreti di riferimento, ed abbia omesso la motivazione circa l'inutilizzabilità delle indagini per violazione degli artt. 335, 405, 406 e 407 c.p.p..

"Era potere-dovere della Corte d'appello - si assume - individuare i singoli decreti al fine di verificare la fondatezza delle eccezioni difensive." Inoltre, la "Corte d'appello avrebbe dovuto valutare se fossero state emesse ordinanza di proroga delle indagini ai sensi degli artt. 405 e 407 c.p.p. e, in caso di risposta positiva, se fossero stati rispettati i termini di durata massima delle indagini".
Rilevato che nel ricorso in esame non si contesta che nell'atto d'appello fu dedotta l'inutilizzabilità delle conversazioni intercettate e delle proroghe per vizio di motivazione dei relativi decreti ed ordinanze senza specifica indicazione di tali provvedimenti, il Collegio rileva la manifesta infondatezza della censura proposta, avendo questa Corte reiteratamente affermato, anche a Sezioni unite che, nel ricorso per Cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l'incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (v., proprio con riferimento a eccezioni di inutilizzabilità di intercettazioni telefoniche, Cass. sez. 6A, n. 12722/2009; più in generale, per eccezioni sull'inutilizzabilità di atti processuali, v. Cass. sez. un. 23868/2009, Fruci).

Quanto alla doglianza d'immotivato rigetto della dedotta violazione dell'art. 295 c.p.p., comma 3, per essere state le prime intercettazioni disposte per ricerca dei latitanti, si rinvia a quanto precedentemente osservato su analogo inammissibile motivo di M.D. (v. par. 11.2).

13.3. Sulla manifesta infondatezza del secondo motivo (violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ed e) e art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 416 bis c.p. e vizio di motivazione) con riferimento al contenuto delle intercettazioni telefoniche da cui i giudici di merito hanno, motivatamente e non illogicamente, tratto il convincimento che lo S. fosse "il custode delle armi" del sodalizio criminoso, si rinvia alla ragione di inammissibilità delle censure sull'interpretazione delle comunicazioni, già precedentemente illustrata per analogo motivo del M. (v.par. 11.3).

13.4. Assolutamente infondata è anche la doglianza sulla mancata derubricazione della fattispecie penale in favoreggiamento o concorso esterno in associazione di tipo mafioso (violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ed e) e artt. 378, 379, 110 e 416 bis c.p.), attese le conclusioni sopra trascritte sull'accertato, rilevante e non marginale ruolo di partecipe dello S. al sodalizio criminoso.

13.5. Inammissibile è pure la dedotta violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, c) ed e), art. 62 bis c.p., artt. 69, 132 e 133 c.p., per inosservanza di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione della circostanze attenuanti generiche e alla mancata determinazione della pena nel minimo edittale.

E' giurisprudenza consolidata di questa Corte che, ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all'art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. Ne consegue che il riferimento, da parte del giudice di appello, ai precedenti penali dell'imputato, indice concreto della sua personalità - in mancanza di specifiche censure o richieste della parte interessata, in sede di impugnazione, in ordine all'esame di altre circostanze di fatto inerenti ai suddetti parametri - adempie all'obbligo di motivare sul punto (707/1998, Incardia).

Quanto al trattamento sanzionatorio, va ricordato che la determinazione della pena da infliggere in concreto rientra nelle attribuzioni esclusive del giudice di merito che, per l'art. 132 c.p., l'applica discrezionalmente indicando i motivi che giustificano l'uso di tale potere discrezionale. Alla Corte di legittimità è consentito esclusivamente valutare se il giudice, nell'uso del suo potere discrezionale, si sia attenuto a corretti criteri logico giuridici e abbia motivato adeguatamente il suo convincimento (Cass. Sez. un. n. 8413/2008, Cassa).

Nel caso in esame la sentenza impugnata si è attenuta ai predetti criteri, facendo riferimento, per motivare il diniego di riduzione della pena, alle circostanze indicate nell'art. 133 c.p., ed ha valutato adeguata quella inflitta del primo giudice ritenendo, incensurabilmente in questa sede, che la gravità dei fatti e la negativa personalità dell'imputato fossero di ostacolo, oltre che al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anche alla riduzione della pena.

14. SE.Gi. era stato condannato in primo grado alla pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione per l'appartenenza all'associazione camorristica (art. 416 bis c.p.), nonchè alla pena di 3 anni di reclusione e Euro 800,00 di multa per capi 27 e 28 (porto abusivo d'arma e lesioni gravi in danno di Ma.Gi., in concorso con B.A. e C.F.).

La Corte d'appello lo ha assolto da quest'ultimi reati ed ha confermato la condanna per il delitto associativo.

L'affermazione di colpevolezza è stata fondata sulle chiamate in correità dei collaboratori C.F. e F. R. (i quali riferirono che, dopo la rottura con il gruppo Cantiello, l'imputato si schierò con i Bidognetti) e De.Si., secondo cui il Se. preparava i conti e gli stipendi per gli affiliati del sodalizio per conto dei Bidognetti), nonchè sul contenuto di intercettazioni telefoniche sull'utenza D.V., da cui emergeva che un uomo (identificato con il nomignolo " (OMISSIS)", che il teste c. a dibattimento identificò nell'imputato) era inseguito e pedinato dal D.V. per conto del gruppo antagonista capeggiato dal Ca. e da intercettazioni del (OMISSIS), in cui lo stesso Ca. parlava di soggetti da punire, tra i quali indicava un avversario di cui era imminente la nascita di un figlio e che si era sposato il (OMISSIS) (giorno in cui risulta accertato il matrimonio del Se.).

14.1. Anche del ricorso del difensore del Se. va dichiarata l'inammissibilità.

14.2. Il primo motivo denuncia nullità ex 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza di legge (art. 125 c.p.p., comma 3, art. 192 c.p.p., comma 3) e vizio di motivazione e censura la valutazione delle molteplici chiamate in correità su cui è fondata l'affermazione di colpevolezza.

Il ricorrente elenca una serie di massime giurisprudenziali di questa Corte, senza però specificare le violazioni o i vizi motivazionali realizzati dalla sentenza impugnata, cosicchè il motivo si risolve in una generica doglianza, in contrasto con la specificità richiesta, a pena di inammissibilità dall'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

14.3. Motivo non consentito in questa sede di legittimità è quello (nullità ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza di legge e vizio di motivazione) dedotto con riferimento all'identificazione dell'imputato nel soggetto soprannominato " (OMISSIS)", attinente a valutazioni di fatto, di esclusiva competenza del giudice di merito quando, come nella specie, le stesse sono state espresse con motivazione logicamente plausibile.

14.4. Manifestamente infondato è l'ultimo motivo (nullità ex 606 c.p.p., lett. b) ed e), per inosservanza di legge e vizio di motivazione) con riferimento alla valutazione della partecipazione dell'imputato al reato associativo.

Del tutto infondatamente il ricorrente lamenta che nessun rilievo viene mosso dalla Corte d'appello per definire il ruolo e la condotta partecipativa del Se., emergendo dalla sentenza che il Se. aveva svolto la funzione di contabile e addetto alla preparazione degli stipendi per gli affiliati sodali dei Bidognetti.

15. Z.M. è stato condannato alla pena di 11 anni di reclusione e Euro 2.800 di multa per i reati di cui ai capi elencati da A. a G. delle contestazioni (relativi a una serie estorsioni e tentate estorsioni aggravate, organizzazione di un "raid" armato, con detenzione e porto d'armi illegali in luogo pubblico, commessi in (OMISSIS) e dintorni tra gli anni (OMISSIS)).

La colpevolezza dello Z., quale mandante di tali delitti, (programmati e spartiti con il Be.) è stata fondata su elementi indiziari, ritenuti gravi, precisi ed univoci, derivanti da conversazioni telefoniche intercettate (alcune delle quali riferibili, secondo i giudici di merito, direttamente all'imputato, altre a diversi interlocutori che, parlando, evocano lo Z. come soggetto che ha poteri decisionali); da testimonianze delle vittime delle estorsioni; da dichiarazioni di collaboratori di giustizia, in riferimento al ruolo decisionale che aveva lo Z.; dall'assenza tra i personaggi di rilievo del "clan" di altri soggetti con il nome di M.; dalla precedente sentenza passata in giudicato, che aveva condannato per talune di tali estorsioni i coimputati Be..
15.1. Con il primo motivo il difensore ricorrente deduce la nullità della sentenza, ex 606 c.p.p., lett. b) ed e), per inosservanza di legge (art. 125 c.p.p., comma 3, art. 192 c.p.p., comma 3) e vizio di motivazione quanto all'identificazione dell'imputato nelle conversazioni intercettate, rilevando che il semplice nome di battesimo ( M.) che ricorre nelle conversazioni non dimostra che si tratti del ricorrente e che una sola conversazione nella quale un interlocutore si sia presentato come Z.M. non dimostra che il "parlante" sia effettivamente l'attuale imputato, potendo altri avere speso il nome del ricorrente.

La censura è manifestamente infondata, costituendo quello del nome di battesimo soltanto uno degli indizi presi in considerazione dalla sentenza impugnata, unitamente all'evidenziazione che tra gli esponenti di vertice del clan dei casalesi non v'era altra persona con quel nome e apparendo, nel contesto di criminalità aggressiva e pericolosa ben illustrato dalla sentenza impugnata, l'assoluta inverosimiglianza che taluno potesse abusivamente e impunemente spendere il nome di Z.M..

La Corte territoriale sottolinea che nelle conversazioni telefoniche (di cui talune direttamente riferibili allo Z., altre intercorrenti tra diversi interlocutori, ma evocanti lo Z. come il soggetto che ha i poteri decisionali) emerge l'inequivoco riferimento a spartizioni di tangenti tra due gruppi criminali (quello di (OMISSIS) e quello di (OMISSIS)); ai criteri di delimitazione e di spartizione degli appalti pubblici; alle ditte che sono risultate vittime delle estorsioni ( L., f., G.) per i quali l'imputato è stato tratto a giudizio.

I giudici d'appello evidenziano, per un verso, altri indizi, che valuta come gravi precisi e concordanti, per attribuire le conversazioni intercettate il (OMISSIS) all'imputato Z.: la provenienza del locutore da (OMISSIS) e la sua condizione di latitante; la difesa degli interessi del sodalizio criminoso radicato in tale luogo; la "legittimazione" criminale ed il potere decisionale ad interloquire, programmare e definire gli ambiti di interessi, economici e territoriali dei rispettivi sodalizi con Be.Sa., esponente dal clan operante a (OMISSIS);

il riferimento ad I.A., amico dello Z., soprannominato "(OMISSIS)"; il riconoscimento da parte dell'operatore intercettante del timbro di voce dell'imputato proprio in quello che si qualificava come M..

Per altro verso, hanno ricordato le dichiarazioni dei collaboratori che hanno riferito del ruolo di spicco dello Z. all'interno del clan, con poteri decisionali riconosciutigli per la sua intelligenza che gli consentiva di "arrivare a tutto e a tutti".

Esclusa ogni violazione di legge, il Collegio rileva nella sentenza impugnata l'esistenza di un'adeguata motivazione che, per la plausibilità logica delle conclusioni sulla base di una molteplicità di elementi indiziari, correttamente valutati dai giudici del merito, si sottrae al sindacato di legittimità, consentito a questa Corte nei limiti di cui all'art. 601 c.p.p., comma 1, lett. e).

15.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, con cui si denuncia nullità ex 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza di legge (art. 125 c.p., comma 3 e art. 110 c.p.) e vizio di motivazione quanto alla prova del concorso dell'imputato nei reati-fine dell'associazione camorristica.

Del tutto infondatamente il ricorrente assume che la responsabilità dell'imputato per i reati ascrittigli sia stata dai giudici di merito fatta discendere dal ruolo di vertice dell'organizzazione criminosa.

La sentenza impugnata, dopo la dimostrazione della infondatezza dei motivi d'appello concernenti l'identificazione nello Z. dell'interlocutore o la persona evocata nelle conversazioni telefoniche, analizza partitamente le singole imputazioni ed evidenzia gli elementi costitutivi dei reati specificamente attribuiti allo Z. nei capi da A a G della contestazione, sui quali non mette conto indugiare per l'assoluta mancanza di motivi di doglianza da parte del ricorrente.

15.3. L'impugnazione dello Z. deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile.

16. ZA.Ni. è stato condannato in primo grado per il delitto associativo.

La Corte d'appello ha confermato la colpevolezza dell'imputato, riconoscendo il vincolo della ritenuta continuazione tra il reato commesso e precedenti fatti, giudicati con sentenza della Corte appello in data 7.6.2001, ormai irrevocabile.

Ritenuto il delitto associativo di cui all'attuale procedimento, è stata inflitta la pena complessiva di 6 anni, in essa ritenuta assorbita la precedente condanna di anni 2 di reclusione.

L'affermazione di colpevolezza è derivata dall'accertamento che "lo Za. aveva offerto al sodalizio criminoso la propria continuativa disponibilità, ricevendone in cambio uno stipendio mensile", accertamento fondato sulle chiamate in correità formulate dai collaboratori C., Fe. e F., tra loro convergenti e riscontrate dalla sentenza di condanna (irrevocabile) che aveva condannato l'imputato per avere esercitato, per conto del sodalizio criminoso, violenza privata (art. 610 c.p. e D.L. n. 151 del 1991, art. 7), volta a inibire ai proprietari di case di affittare ad inquilini extracomunitari.

16.1. Il ricorso proposto dal difensore è inammissibile.

16.2. Il primo motivo - che deduce "violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 e art. 416 bis c.p., e vizio di motivazione" sia in ordine alla ritenuta attendibilità intrinseca dei collaboratori di giustizia ( C., F. e Fe.) sia in ordine alla ritenuta sussistenza di riscontri esterni individualizzanti - è manifestamente infondato, avendo la Corte esaminato con cura, ritenendole motivatamente senza pregio, tutte le censure rivolte dagli appellanti, tra cui lo Za., all'attendibilità dei collaboratori e alla credibilità delle loro dichiarazioni autoaccusatorie e accusatone.

In particolare, è stata rigettata la censura di genericità delle accuse, avanzata dall'appellante Za., in quanto il C. aveva specificamente riferito che l'imputato riceveva lo stipendio mensile di L. 3 milioni per l'affiliazione al clan, stipendio che gli veniva pagato personalmente dal C. per conto dei Bidognetti; successivamente, aveva aggiunto il collaboratore, insorta la frattura nel sodalizio a seguito dell'arresto di B.F., lo Za. aveva seguito il Ca. e aveva continuato a ricevere lo stipendio direttamente dal nuovo capo-fazione.

La vicinanza dello Za. ai Bidognetti e il successivo schieramento con il gruppo Ca. risulta confermata dal Fe. (che riferì anche dell'"interessamento dello Za. per "la questione degli extracomunitari") e dal F. (che indicò l'imputato come incaricato di commettere estorsioni, riferendo specificamente di una ai danni di Da.Ga.).

Privo di ogni fondamento è anche la doglianza relativa al riscontro, in ordine al quale il ricorrente ha lamentato la violazione dell'art. 238 bis c.p.p., per l'utilizzazione della precedente sentenza di condanna per il reato di violenza privata aggravata (art. 610 c.p. e L. n. 203 del 2001, art. 7): come è stato già sopra evidenziato esaminando la posizione del ricorrente Di.Ga., dal testo della sentenza impugnata risulta evidente che la sentenza irrevocabile di condanna, acquisita ai sensi dell'art. 238 bis c.p.p., senza alcun automatismo probatorio, è stata valutata insieme agli altri elementi di prova rappresentativa e logica, in conformità alla giurisprudenza di legittimità di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. n. 42799/2008, Campesan).

A questo proposito, mette conto evidenziare che i giudici di merito hanno sottolineato quanto è emerso in relazione ai capi d'accusa 25 e 26 (lesioni personali a seguito di ferimento di alcuni cittadini extracomunitari, in (OMISSIS) nel (OMISSIS)), dai quali lo Za. è stato assolto proprio sulla base delle dichiarazioni del collaboratore C..

Secondo la sentenza di primo grado, confermata da quella d'appello, nell'ipotesi d'accusa, il Ca. avrebbe affidato allo Za. l'incarico di eliminare o quanto meno ridurre la presenza di cittadini extracomunitari nella zona di (OMISSIS).

Il C., nel riferire l'episodio del ferimento dei cittadini extracomunitari, esclude una partecipazione materiale ed effettiva dello Za. al ferimento, precisando che lo Za. aveva eseguito il diverso incarico ricevuto dal Ca. di "andare nelle abitazioni degli extracomunitari a parlare con i proprietari che affittavano le case agli extracomunitari, con il fine di indurli a desistere da tale condotta.

Da tali dichiarazioni i giudici hanno tratto elementi per assolvere lo Za. dal delitto di lesione personale aggravata in danno dei cittadini extracomunitari;, al tempo stesso, hanno utilizzato le affermazioni del C., unitamente a quanto emerge dalla sentenza irrevocabile di condanna per violenza privata, ai fini della colpevolezza per il delitto associativo.

16.3. Da tali considerazioni deriva anche la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso (violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e) e artt. 110 e 416 bis c.p., sulla mancata derubricazione della fattispecie in favoreggiamento o concorso esterno in associazione di tipo mafioso), che aveva già costituito oggetto di motivo d'appello, correttamente rigettato dalla Corte territoriale perchè assorbito nella diversa ricostruzione operata della condotta dell'imputato, consapevole partecipe, a pieno titolo, dell'associazione camorristica.

16.4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta "violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) e art. 416 bis c.p., in relazione alla richiesta cessazione della condotta fino all'anno (OMISSIS)", dolendosi della mancanza di specifica motivazione per essere stato il motivo d'appello rigettato con riferimento ad analoga motivazione dalla Corte napoletana, espressa con riferimento ad identico motivo dedotto da S.V..

In proposito va riaffermato che l'ambito della necessaria autonoma motivazione del giudice d'appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall'appellante. Se i motivi d'appello sono dedotti in modo generico o palesemente inconsistente, il giudice dell'impugnazione ben può rigettare l'appello senza alcun obbligo di specifica motivazione, eventualmente anche rinviando a motivazione riferita ad analoghe questioni poste da altri appellanti.

Nella specie l'appellante aveva richiesto che si ritenesse cessata la condotta contestata nel corso dell'anno (OMISSIS), in quanto dai "risultati delle intercettazioni telefoniche acquisite è emerso che la presunta condotta posta in essere dall'imputato è cessata nell'anno (OMISSIS)".

Motivo all'evidenza del tutto generico e inidoneo a porre un obbligo di specifica motivazione per il giudice d'appello, il quale tuttavia, nel caso in esame, ha comunque evidenziato, richiamando precedenti giurisprudenziali di legittimità, che ai fini della configurabilità del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, il vincolo associativo tra il singolo e l'organizzazione si instaura nella prospettiva di una futura permanenza in essa a tempo indeterminato e si protrae sino allo scioglimento della consorteria, potendo essere significativo della cessazione del carattere permanente del reato soltanto l'avvenuto recesso volontario, che, come ogni altra ipotesi di dismissione della qualità di partecipe, deve essere accertato caso per caso in virtù di condotta esplicita, coerente e univoca (Cass. n. 3089/1999, Caruana), nel caso in esame del tutto assente.

16.5. Gli ultimi due motivi (violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), ed e), art. 62 bis c.p., artt. 69 e 81 cpv. c.p., artt. 132 e 133 c.p.) relativi a circostanze attenuanti generiche, circostanze aggravanti, aumento per la continuazione e complessivo trattamento sanzionatorio, sono inammissibili per le ragioni sopra indicate (v. par. 13.5) con riferimento allo stesso motivo proposto dal medesimo difensore ricorrente per S.V..

17. Conclusivamente la sentenza impugnata va annullata totalmente nei confronti di P.M. e parzialmente nei confronti di A.P., con rinvio alla Corte d'appello di Napoli per nuovo giudizio.

Alla declaratoria d'inammissibilità di tutti gli altri ricorsi, segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e verso la cassa delle ammende della somma, che si ritiene adeguata in ragione delle questioni dedotte, di Euro mille.

P.Q.M.

La Corte annulla nei confronti di P.M. la sentenza impugnata. Annulla la stessa sentenza nei confronti di A. P. limitatamente all'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 6.
Rinvia per nuovo giudizio nei confronti dei predetti imputati ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
Rigetta nel resto il ricorso dell' A..
Dichiara inammissibili i ricorsi degli altri imputati, che condanna ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1,000 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2009